Farsa
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Autore: Guido Michelone
Si tratta di una rappresentazione teatrale, le cui origini risalgono addirittura alla drammaturgia classica dell’antica Grecia con mimi e drammi satireschi e della Roma repubblicana e imperiale con fescennini, saturae, atellanae. La f., quale genere specifico, acquista però una netta identità nel Medioevo quando diventa un riempitivo delle sacre rappresentazioni: il termine infatti deriva dal sostantivo francese farce, carne tritata, e poi dal verbo farcir, appunto, riempire. Infatti sono gli studenti parigini del XIII secolo a recitare le prime opere di questo tipo, appunto chiamate farces; poi grande notorietà acquistano le farse del mondo giuridico inscenate dalla basoche, corporazione del personale della Cancelleria.
Solo nel Quattrocento la f. si diffonde in Italia con quelle recitate dagli universitari di Pavia e Padova in seno alla goliardia e con le celebri farse cavaiole, così chiamate da Cava dei Tirreni, i cui abitanti sarebbero stati assai propensi al riso e allo scherzo, importanti per l’immediatezza realistica che sarà la costante del successivo teatro comico partenopeo. Nel XVI secolo, da un lato, la f. acquista dignità artistico-letteraria grazie a scrittori come Giovan Giorgio Alione (con i suoi dieci componimenti in dialetto astigiano mescolato all’italiano maccheronico, di acuta osservazione della vita locale), dall’altro, viene assorbita dalla commedia dell’arte in un registro scenico più libero e improvvisato.
In definitiva possiamo considerare la f. un genere teatrale propenso alla brevità e alla palese ricerca dell’effetto umoristico. La sua compiuta organizzazione drammaturgica risale quindi al periodo rinascimentale, in cui certi spunti della recente tradizione giullaresca vengono inglobati con quelli più remoti della comicità classica da poco riscoperta dagli umanisti.
Più genuina e immediata che colta e riflessiva, la f. da allora mantiene per molti secoli un carattere schietto e popolare, attraverso una predilezione per i contenuti sanguigni, concreti, talvolta volgari, ma senza malizie o compiacimenti morbosi. La f. è insomma pervasa dal materialismo ridanciano e dissacrante, che dà vita a una ilarità schietta, elementare, cialtronesca, che nel corso dei secoli diventa talvolta stereotipata e macchiettistica.
La f. dell’Ottocento, a contatto coi nuovi pubblici urbanizzati, cambia fisionomia: da un lato assume lo spirito esuberante del vaudeville francese, dall’altro accentua la meccanicità dell’intreccio e il ricorso a tipologie costanti di personaggi e situazioni. Da manifestazione di teatralità colta o folkloristica, la f. moderna viene confinata nei sottogeneri del teatro di estrazione piccolo-borghese.
Nell’Ottocento e nel primo Novecento la f., per la sua brevità, costituisce anche il mezzo per far concludere allegramente la serata teatrale come finale esilarante aggiunto a sorpresa; in tal senso anche il cinema riprende la funzione della f. all’interno del genere comico, quale gag conclusiva, non a caso denominata comica finale, da inserire dopo uno spettacolo serioso, tragico o impegnativo, di diverse ore di proiezione.
Solo nel Quattrocento la f. si diffonde in Italia con quelle recitate dagli universitari di Pavia e Padova in seno alla goliardia e con le celebri farse cavaiole, così chiamate da Cava dei Tirreni, i cui abitanti sarebbero stati assai propensi al riso e allo scherzo, importanti per l’immediatezza realistica che sarà la costante del successivo teatro comico partenopeo. Nel XVI secolo, da un lato, la f. acquista dignità artistico-letteraria grazie a scrittori come Giovan Giorgio Alione (con i suoi dieci componimenti in dialetto astigiano mescolato all’italiano maccheronico, di acuta osservazione della vita locale), dall’altro, viene assorbita dalla commedia dell’arte in un registro scenico più libero e improvvisato.
In definitiva possiamo considerare la f. un genere teatrale propenso alla brevità e alla palese ricerca dell’effetto umoristico. La sua compiuta organizzazione drammaturgica risale quindi al periodo rinascimentale, in cui certi spunti della recente tradizione giullaresca vengono inglobati con quelli più remoti della comicità classica da poco riscoperta dagli umanisti.
Più genuina e immediata che colta e riflessiva, la f. da allora mantiene per molti secoli un carattere schietto e popolare, attraverso una predilezione per i contenuti sanguigni, concreti, talvolta volgari, ma senza malizie o compiacimenti morbosi. La f. è insomma pervasa dal materialismo ridanciano e dissacrante, che dà vita a una ilarità schietta, elementare, cialtronesca, che nel corso dei secoli diventa talvolta stereotipata e macchiettistica.
La f. dell’Ottocento, a contatto coi nuovi pubblici urbanizzati, cambia fisionomia: da un lato assume lo spirito esuberante del vaudeville francese, dall’altro accentua la meccanicità dell’intreccio e il ricorso a tipologie costanti di personaggi e situazioni. Da manifestazione di teatralità colta o folkloristica, la f. moderna viene confinata nei sottogeneri del teatro di estrazione piccolo-borghese.
Nell’Ottocento e nel primo Novecento la f., per la sua brevità, costituisce anche il mezzo per far concludere allegramente la serata teatrale come finale esilarante aggiunto a sorpresa; in tal senso anche il cinema riprende la funzione della f. all’interno del genere comico, quale gag conclusiva, non a caso denominata comica finale, da inserire dopo uno spettacolo serioso, tragico o impegnativo, di diverse ore di proiezione.
G. Michelone
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Come citare questa voce
Michelone Guido , Farsa, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (23/11/2024).
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